Quella
mattina Sarah si alzò dal letto prima del solito. La sua stanza era quella di
una ricca borghese nobilitata di recente. Era una nuova giovane nobildonna. O
una nuova nobilgiovane. O una nuova nobilragazza. O una nobilnuova. In ogni
caso era nuova. Era fresca. Era nuova fresca, di giornata.
Si chiamava
Sarah, come il deserto meno una acca e una a. O, forse, come Sara più un’acca.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Viveva a
Milano.
Quella
mattina anche Frank si alzò dal letto prima del solito. Ritornava tardi dalle
feste. O, forse, presto. Per un giovane nobilduomo di Milano era tardi. Per un
contadino era presto. Per Gigi Marzullo… bè… veramente non saprei, ma il
problema non sussiste, dato che Marzullo all’epoca non esisteva.
Perché due
giovani nobili nella Milano Ottocentesca (ma ambientata nel Seicento) avevano
nomi stranieri? Non lo so. Del resto, io di romanzi rosa non ho mai capito
niente.
Quella
mattina il destino voleva che i due giovani si incontrassero.
Già. In una
chiesetta situata al confine tra Lombardia e Veneto si svolgeva un doppio
funerale. Ma partiamo dal principio.
Da mesi,
ormai, Milano era flagellata dalla peste… Ma questa è un’altra storia.
Nel vicino
Veneto, infatti, stava avvenendo un qualcosa di ancora più grandioso.
In quel
periodo, infatti, era facile udire un discorso del genere in qualunque piazza
veneta:
«Alura,
questa secesiun?»
«Secesiun?
Cos’è ghe xè?»
«Come
“cos’è ghe xè”?!? Xè’l nostro sigo de libartà!»
«Ma libartà
da coxa?»
«Ma dalla
dittatura de l’Italia, caxxo!»
«Ma che
caxxo te dise? L’Italia xè soltanto un’idea, no l’esiste ne la realtà! No xè
mai esistita! E ancor de meno li italiani!»
Questo era
il clima di quel periodo nelle regioni del sud-Austria. Molti Lumbàrd vedevano
nella richiesta di indipendenza dei Veneti (o “Terùn del Nord”), oltre che una
follia (chiedevano l’indipendenza da uno Stato mai esistito e mai Stato Unito),
una minaccia al progetto del Viceré lombardo Bobo I del Maròn chiamato “magna-regione-Sud-Austriaca”.
E fu così
che scoppiò la guerra tra le due regioni confinanti. I Veneti diffusero le
proprie teorie di indipendenza e libertà attraverso i così detti “Cujùn de
Dolehances”.
Dolehances
era un villaggio veneto vicino Venezia. Una porzione degli abitanti del paesino
era chiamata Cujùn, perché componeva una piccola minoranza che credeva di
rappresentare i desideri dell’intero Veneto, anche quelli dei mediamente
intelligenti.
Così la
guerra tra Lumàrd e Veneti scoppiò e molti giovani, mossi da forti ideali,
presero parte alla guerra, sull’uno o sull’altro versante.
Tra questi
spiccavano due nobili di Milano, Don Dan e Don Din, l’uno amico di Frank,
l’altro amico di Sarah.
Ma nelle
teste di Don Dan e Don Din scampanellavano ideali ben diversi: il primo era un
fermo sostenitore del Maròn, mentre il secondo sosteneva l’indipendenza del
Veneto.
Perché a
Don Din, Milanese Doc, rintoccava nel cervello il desiderio di un Veneto
libero?
E’ presto
detto: infatti, il cuore di Don Din risuonava solo per la bella Beatrice “Bea”
Mona, figlia dell’indipendentista veneto Valerio Inquisitor Mona, conosciuto
come “Và In. Mona”.
E fu così
che Don Dan e Don Din si trovarono in guerra l’uno contro l’altro.
La guerra
porta sempre e solo dolore, disperazione e morte. Così, nell’ottavo mese di
guerra, i due giovani furono impegnati nel duello finale.
«Don Dan,
sta per battere il tuo ultimo rintocco!»
«I tuoi
suoni di gioia, caro Don Din, stonano più di una campana!»
«Oh, ma
bravo! Sei originalissimo! E’ da quando siamo apparsi che l’autore cerca di
inserire battute sui nostri nomi legate alla campana, senza però nominarla
apertamente, e tu lo sputtani così! Che finezza!»
«Basta, Don
Din! Hai osato dire che non ho finezza! Se non avessi l’armatura piangerei come
una ragazzina, ma ho paura di rovinarmi il trucco, ma sappi che un’offesa così
non mi era mai stata fatta da quando avevo dieci anni! Dunque pretendo la mia
vendetta, e l’avrò, in questa vita… o nell’altra!»
Già,
infanzia difficile quella di Don Dan. A dieci anni un suo amico gli disse: “Mio
padre è più colto del tuo perché ha già letto tutta la Divina Commedia!”
Il piccolo
Don Dan non riuscì a deglutire per tre mesi. Così fu costretto ad un intervento
di tonsillectomia, il primo della storia. Da quel momento, per un lungo
periodo, tutti i bambini che subivano anche un leggero insulto dai propri
coetanei venivano privati delle proprie tonsille, come prevenzione.
Intorno al
2000 si intuì che le tonsille, probabilmente, potevano avere una qualche
utilità. Da quel momento furono operati solo i bambini che subivano insulti dal
“vai a farti operare di tonsille, ché ti sto insultando” al “tu sei stato
studente quando il ministro dell’istruzione era la Gelmini”.
Lo scontro
tra Don Dan e Don Din era iniziato. Il primo, munito di arco e frecce, tentò di
colpire l’altro all’orecchio destro in modo da renderlo semisordo. Già, Don Dan
era molto astuto. Ma poco preciso: la freccia sfiorò Don Din, tagliandogli il
codino. La freccia proseguì il suo percorso. Così come il fato.
Don Din a
quel punto prese il sopravvento sullo sconvolto e deluso avversario. L’armatura
di Don Dan ricopriva tutto il corpo del guerriero.
Eccetto un
punto: il punto di congiunzione tra mano e avambraccio, il polso. Per la
precisione il destro.
Don Din si
avvicinò con la velocità della tartaruga che insegue la lumaca e, con un taglio
tanto netto da essere esentasse, tranciò il polso destro del malcapitato Don
Dan.
Per curarsi
la ferita, egli la infilò in bocca per succhiarsi via il sangue, come quando ci
si fa un taglietto sul dito, ma il fiotto di sangue gli occluse le vie
respiratorie. Si dice che nei pochi istanti che precedono la morte, si rivive
la propria vita. Don Dan ricordò solo un periodo: i tre mesi nei quali non
poteva deglutire.
Ecco, in
quel momento la situazione era identica. Dunque pensò “forse riuscirò a
resistere tre mesi, ma poi chi mi toglierà il sangue dalla gola?” e allora si
lasciò andare.
Don Din già
cantava vittoria, quando il fato riprese il suo cammino. E, con esso, la
freccia.
Essa aveva
compiuto l’intero giro del mondo e si conficcò alle spalle di Don Din, che
cadde al suolo.
«E così con
una freccia (che ha attraversato tutto il mondo) io muoio.»
Fu in quel
momento che ogni dubbio sulla sfericità della terra scomparve.
Giunsero
immediatamente i soldati di ambo le parti e videro la tragedia davanti ai loro
occhi: due giovani avevano perso la vita, a causa di una guerra idiota voluta
da dei perfetti idioti, dei Cujùn.
Si
sentirono migliaia di urla “Don Din! Don Dan! Don Din Don Dan Don Din Don Dan
Din Don Dan Dan!”
La guerra
si fermò e tornò la pace tra Lumbàrd e Veneti. A cosa era servito versare
sangue giovane, se non ne aveva potuto giovare nessun vampiro?
Il Maròn
capì l’errore e diede le dimissioni, pronunciando l’ormai storica frase:
«Una triste
pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo
volto.
Andiamo a
parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri il
castigo.
Ché mai vi
fu una storia così piena di dolore come questa di Don Din e Don Dan.»
Del Maròn,
dei Cujùn, della secesiùn, non si sentì parlare mai più perché l’indipendenza
era una bojata ma soprattutto perché di attualità traslata nel passato si parla
solo in questo primo capitolo, nei prossimi, quand’anche ci dovesse essere
della satira, essa sarà sempre generalizzata e mai così attualizzata come in
questo caso.
Ma
soprattutto, d’ora in poi, ampio spazio l’avrà il vero protagonista della
storia: l’amore.
Perché se
il fato aveva portato via la vita a due giovani, stava per donare l’amore ad
altri due.
Infatti
Frank e Sarah, quel mattino in cui si erano alzati dal letto prima del solito,
si recarono nella chiesetta a confine tra Lombardia e Veneto, in cui si
celebrava il funerale dei loro amici, Don Din e Don Dan.
Quando
suonarono le campane, esse sembravano pronunciare il loro nome “Don Din Don Dan
Don Din Don Dan…”.
All’uscita
dalla chiesa Frank scivolò sulla cacca di un piccione e cadde con il naso nel
seno di Sarah.
Mai nessuno
le era arrivata così vicino al cuore.
NdA: Lo so
che a capo della Lega Nord c’è Salvini e non Maroni, ma vuoi mettere?
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